La pandemia non ha fermato il tradizionale appuntamento delle ACLI Marche giunto alla 40ma edizione. La festa del primo maggio, organizzata grazie alla collaborazione delle ACLI provinciali di Ancona e del Circolo ACLI “Umbriano” di Camerano, si è svolta in presenza, nel rispetto delle normative anti Covid 19, nella chiesa parrocchiale di Camerano, con la celebrazione della Santa Messa presieduta dall’Arcivescovo di Ancona-Osimo Mons. Angelo Spina, concelebrata dal parroco di Camerano don Aldo, dal vice parroco don Giuseppe, con il diacono Lorenzo alla presenza dei fedeli e dei rappresentanti delle istituzioni e dei dirigenti delle ACLI provinciali e regionali. La celebrazione è stata trasmessa in diretta TV a partire dalle ore 10.30 su ETV Marche (canale 12 del digitale terreste) e in streaming sul sito e sulla pagina Facebook di ETV Marche.
Al termine della S. Messa c’è stato il saluto della Sindaca, Annalisa del Bello, del Presidente regionale delle ACLI Marche, Luigi Biagetti, e a seguire la cerimonia di premiazione della 22° edizione del premio “Bruno Regini – Cultura della solidarietà”. Il premio viene assegnato ogni anno a personaggi che si sono distinti in campo regionale per la creazione di una cultura della solidarietà. Il premio è stato consegnato quest’anno ai familiari del sacerdote Don Lamberto Pigini, scomparso a gennaio 2021 all’età di 97 anni.
“Le ACLI Marche hanno deciso di consegnare il premio in memoria di Don Lamberto Pigini” ha affermato il Presidente regionale delle ACLI Marche Luigi Biagetti “in quanto Don Lamberto ha rivestito fin dagli anni 60 un ruolo fondamentale nella formazione e nell’occupazione di tanti giovani. Il suo impegno e le sue idee hanno contribuito a far nascere imprese di straordinario successo come la Rainbow conosciuta in tutto il mondo e una generazione di stimati lavoratori e imprenditori”.
Di seguito viene riportata l’omelia tenuta dall’arcivescovo Angelo:
“Oggi è la festa di San Giuseppe lavoratore. Dalla prima lettura presa dal libro della Genesi abbiamo ascoltato che Dio arriva al culmine e al compimento di ogni sua opera creando l’uomo a sua immagine e somiglianza. Per descrivere questa attività di Dio viene usata la parola “lavoro”. Il testo sacro ci presenta un Dio che lavora e si riposa: in sei giorni crea l’universo, il settimo giorno contempla la perfezione della propria opera. Non sorprende affatto che anche per l’uomo abbia previsto una vita di lavoro. Infatti, subito dopo la creazione, Dio affida all’uomo il compito di lavorare e custodire il giardino, oltre che di svolgere un servizio di amministrazione su tutto il creato. Il lavoro, dunque, di per sé è buono, non è un castigo e non fa parte delle conseguenze del peccato; piuttosto fa parte della dignità della creatura di Dio. Il lavoro è una vera e propria vocazione che diventa, a sua volta, capace di “creare”. La vocazione dell’uomo, dopo la chiamata alla vita, dunque, è quella di lavorare. Il lavoro è stato creato come una benedizione di Dio, un dono grande, un compito esigente, una responsabilità bella, un’opportunità di comunione. Dà dignità all’uomo, una dignità che lo fa somigliare a Dio.
Il Vangelo secondo Matteo descrive la visita di Gesù a Nazaret, sua città natale, dove lui visse 30 anni e dove imparò da Giuseppe, suo padre, il mestiere di falegname. Dopo una lunga assenza da Nazaret Gesù vi ritornò e, come era sua abitudine, nel giorno di sabato si recò alla sinagoga prese la scrittura e cominciò ad insegnare. Ma alla gente le sue parole non piacquero. Dicevano: “Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?” Gesù sa molto bene che “nessuno è profeta nella sua patria”. Infatti, lì dove non c’è apertura né fede, nessuno può fare nulla. Ma è significativo che i suoi concittadini lo definiscono “il figlio del carpentiere”. E’ una grande verità in quanto Giuseppe, fidandosi di Dio, aveva preso tutta la responsabilità per custodire la vita di Gesù. Gesù è nato da Maria per opera dello Spirito santo, ma Giuseppe liberamente sceglie di amarlo con la tenerezza di padre per tutta la sua vita. Pur non avendolo generato gli fa da padre, gli insegna la vita, il lavoro fatto con fatica per portare il pane a casa. Giuseppe lavoratore ci fa cogliere l’alto valore del lavoro. Non solo perché lavorando si ricava ciò che serve per il proprio sostentamento, ma perchè il lavoro fa emergere con chiarezza la dignità di una persona, la sua libertà, la sua passione, la sua creatività. Quando una persona viene privata del diritto al lavoro viene lesa nella sua dignità. Ma si può ledere la dignità del lavoratore con lo sfruttamento, l’umiliazione.
La giornata di oggi ci fa cogliere che il lavoro è stato redento da Gesù, e Giuseppe ci insegna che ci si fa santi lavorando e questo accade quando si lavora non solo per un profitto, ma per condividere per amore di qualcuno. Giuseppe avrà lavorato per amore di Maria e di Gesù e quell’amore ha lasciato un segno sulla vita di Gesù stesso.
Papa Francesco nella Lettera apostolica “Patris corde, Con amore di padre”, scrive:<< San Giuseppe era un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro. In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere, è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono. Il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia. Una famiglia dove mancasse il lavoro è maggiormente esposta a difficoltà, tensioni, fratture e perfino alla tentazione disperata e disperante del dissolvimento. Come potremmo parlare della dignità umana senza impegnarci perché tutti e ciascuno abbiano la possibilità di un degno sostentamento? La persona che lavora, qualunque sia il suo compito, collabora con Dio stesso, diventa un po’ creatore del mondo che ci circonda. La crisi del nostro tempo, che è crisi economica, sociale, culturale e spirituale, può rappresentare per tutti un appello a riscoprire il valore, l’importanza e la necessità del lavoro per dare origine a una nuova “normalità”, in cui nessuno sia escluso.
Il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, e che è aumentata negli ultimi tempi a causa della pandemia di Covid-19, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità. Imploriamo San Giuseppe lavoratore perché possiamo trovare strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!>>.
San Giuseppe custodisca e protegga tutti i lavoratori. Amen.
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